Diciamo subito che a me Xiaomi sta simpatica e ci vedo molto di più che un clone cinese di Apple.
A parte che, avercene cloni di Apple...
Il clone è cosa diversa dalla brutta copia in stile Samsung.
Mi piace il modo in cui Xiaomi ha costruito il suo brand, la ricerca del design piacevole, la cura dei dettagli, il modo in cui si colloca sul mercato (alta qualità, prezzi aggressivi: e a chi non piace?).
Il fatto, inoltre, di essere un colosso cinese, di essere all'altezza di altri marchi, asiatici e non, senza però rinunciare a essere autenticamente cinese. A partire dal nome: Xiaomi (pronuncia: shao-mi), piccolo (xiao) riso (mi), dove Mi sta però anche per Mobile Internet e Mission Impossibile, spiegano.
Un po' come la Samsung dei primordi, ma senza i soldi americani. Se pensate alla coreanità del nome Samsung, beh quello significa tre stelle, a suggerire varietà, diversificazione, potenzialità: preferisco la poesia del piccolo riso.
La Cina, la sua lingua, la sua cultura, saranno anche impenetrabili per noi occidentali, ma se questo a noi basta per rinunciare a guardare a quello che succede in Cina, così non è per i cinesi, che il mondo – noi, l'Occidente – lo guardano. Con attenzione pure. Non solo per un vago afflato di fratellanza umana, ma per interesse, ovviamente. La chiusura è più nostra, che pensiamo alla Cina come un immenso deposito di manovalanza, una fabbrica di chincaglierie (da noi commissionate), Foxconn.
Non è così, non è solo questo. Oltre la nostra miopia e la nostra spocchia (che dire? Noi abbiamo NGM invece di Xiaomi), la Cina non è chiusa al mondo, ha gli occhi ben aperti. I figli delle élite rosse – di quel rosso sfumato in tonalità cinese, il comunismo unito al turbocapitalismo – viaggiano, studiano all'estero nelle migliori università, conoscono l'Occidente. Non si può dire che le élite nostrane abbiano la stessa lungimiranza o la stessa ampiezza di vedute sulla Cina.
Ma non solo i figli di papà, Jack Ma di Alibaba ad esempio ha tutta un'altra storia, ma è un altro cinese che guarda il mondo e lo vuole conoscere, capire dove va e – parliamo sempre di business – cosa vuole. E col business che ha messo impiedi riempie un po' le tasche anche ai cinesi delle aree più remote (The Guardian il 25 Agosto: Alibaba delivers benefits of a new digital economy to remotest China).
Xiaomi (o Alibaba, o Lenovo) non sarebbe nata senza questa apertura, senza questa attenzione. I telefoni (i tablet, le smart tv) di Xiaomi sarebbero perfettamente vendibili anche in Occidente, non gli manca nulla per piacere, e in più hanno l'appeal del prezzo. In Occidente i prezzi non potrebbero essere altrettanto stracciati, ma sta di fatto che uno Xiaomi Mi4 in Cina costa la metà di un Samsung equivalente e che con tutti i costi di importazione in USA viene meno di 500$ (un S5 ne costa circa 700). E non gli è inferiore in niente, è persino costruito meglio, ha un'interfaccia molto più carina e fluida. Poi ovvio, i gusti sono gusti e c'è chi li ha pessimi e sta bene con TouchWiz (la UI di Samsung).
I costi così bassi non sono dovuti solo al fatto che utilizzano manovalanza cinese, come tutti, ma al modello di business che gli permette di guadagnare non dall'hardware direttamente (come Apple), ma da quello che gli utenti generano, come giro di denaro, a partire dal dispositivo, attraverso il loro ecosistema (un po' come Amazon col Kindle Fire e il Fire Phone). L'interesse quindi è nel mettere quanti più dispositivi possibile in mano agli utenti, e per farsi comprare un dispositivo deve piacere e essere conveniente. Un combo che Xiaomi riesce a... combinare.
Se però volessi fare l'avvocato del diavolo (o dell'angelo, dipende dall'ottica buoni/cattivi che si ha) sfonderei una porta non aperta: spalancata.
Xiaomi copia spudoratamente Apple. Dai nomi dei prodotti (Mi Pad, Mi Cloud, ma c'è anche un Redmi Note) alla brand image che riprende colori e layout di Apple. Esempio: il colore champagne nella pagina web di Mi TV e in quella dell'iPhone 5S. Addirittura ne ruba qua e là le icone (non senza che non se ne accorga quel segugio di Gruber, hey!). Il tutto impunemente, perchè in Cina – Xiaomi vende solo in Cina, primo mercato mondiale per gli smartphone, e mercati limitrofi – le leggi sul copyright sono molto, molto blande, e di fatto la proprietà intellettuale e il diritto d'autore non sono tutelati. Comunism FTW!
Già, chi l'avrebbe mai detto che uno dei migliori alleati del capitalismo più sfrenato sarebbe stato un sistema comunista?
Ma tornando a Xiaomi vs. Apple, se Cupertino non ha sguinzagliato gli avvocati come ha fatto invece con Samsung sarà forse non solo per la complessità della cosa in un mercato dove vigono altre leggi, quale è la Cina (le è risultato già impossibile bannare la vendita di certi Samsung in USA). Ma perchè tutto sommato il peccato di Xiaomi è veniale. Il design dei dispositivi e delle interfacce è così dichiaratamente ispirato a Apple che quasi sembrano degli omaggi, umilmente offerti da un allievo pieno di ammirazione per un maestro a cui sa di non poter assomigliare oltre la mera imitazione.
L'interfaccia, MiUI 6, è forse l'esempio più lampante del mash-up di Xiaomi:
Chiaramente ispirata alla pulizia e alla semplicità di iOS7 (ma non alla monotonia), la unisce agli ultimi dettami di Material Design e ne produce un mix che pare un iOS6 smussato dagli eccessi forstalliani e rivisitato in chiave Android. Prende un po’ il meglio da tutti: l’estetica da Apple, le funzionalità granulari da Android. Il risultato non è un Frankenstein come quelli di Samsung. E non è nemmeno il piattume attuale di iOS. Le icone sono squadrate, cambia un po’ giusto il raggio degli angoli. I colori sono ben assortiti, meglio che in iOS. C’è un po’ di senso del volume, come un iOS 6 passato per le mani di uno meno estremista di Ive. Certo, mantiene i difetti di Android, una certa incoerenza degli elementi grafici, ma nel complesso è un'insalata molto meno caotica. Non apporta innovazioni particolari, solo differenziazioni, una variazione sul tema Android. In attesa che arrivino sul mercato quelle che dovrebbero essere le vere novità ma che per ora sono solo entità mitologiche, come Tizen o Sailfish.
MiUI è liberamente installabile su qualsiasi Android non troppo misconosciuto (tipo che c'è la ROM anche per i telefoni Oppo).
Per l'hardware stesso discorso. Prendo un po' da questo, un po' da quello, il meglio di ognuno.
Il risultato non è un mero copia-e-incolla.
Questo telefono ad esempio sembra una citazione del vecchio iPod nano, come se Xiaomi avesse preso un design abbandonato da Apple e l'avesse riportato a nuova vita, a confermare che il valore di quell'idea non era esaurito:
Apple dismette un sacco di idee in fretta, come succederà a breve col design a linee pulite e squadrate dell'iPhone 5/5S (subito ripreso da Xiaomi con l'Mi4, con tanto di chamfered edges, ma la scocca almeno è in acciaio). Altrimenti, il pubblico si annoia.
Quello che Apple butta via, Xiaomi ricicla.
Non poco attinge anche da Nokia, specialmente i colori. Ma Nokia a sua volta non copiava da certe vecchie cose Apple come appunto le serie colorate di iPod mini e nano? E non ha poi accusato Apple di omaggiarla con gli iPhone 5c colorati, che è proprio una colossale ca..(wait for it)..volata?
Qui ad esempio si potrebbe dire che lo spunto è stato dato dai colori del Lumia, il Windows Phone di Nokia, ed è lo stesso telefono di sopra, visto da dietro:
Xiaomi è semplicemente salita sulla giostra imparando le regole dagli altri.
Cosa aggiungere? Se persino il CEO Lei Jun (45 anni) dichiara di essere un fan di Steve Jobs. O un fake di Steve Jobs, per i media occidentali, che vedono in un paio di jeans e una polo nera un segno inequivocabile di piaggeria. Per fortuna sua, nelle sue foto sul palco Jun non indossa delle New Balance, ma un paio di Converse (tarocche?), sennò era davvero inscusabile. Dimentichiamoci pure che la passione per l'abbigliamento zen a Jobs era venuta dopo una visita in Giappone, e che i 100 e passa lupetti che indossava, tutti uguali, erano di Issey Miyake.
Insomma, Lei Jun se l'è studiata molto bene la biografia di Jobs. Ed è infinitamente più simpatico del CEO ultrasettantenne di Samsung e del suo modo di governare l'azienda come se fosse un'impero dinastico non molto diverso da quello nord-coreano dei Kim (Samsung employees were told to literally never look down on the chairman, The Verge).
Il futuro di Xiaomi è fuori dalla Cina. Attualmente nel mercato interno ha già scalzato Samsung, è entrata in India e sta preparando lo sbarco in Brasile. Nel 2013 è entrato nel board del colosso cinese Hugo Barra, direttamente da Google, dove era product manager di Android in qualità di vice presidente. In Xiaomi è a capo del settore internazionale. Un brasiliano appunto, sintonia tra BRICS.
E proprio a lui ultimamente è toccato difendere l'azienda dalle accuse (molto sensate) di violare la privacy degli utenti sniffando i loro dati (numero di telefono, IMSI, IMEI: identificare l'utente è un attimo) attraverso il sistema di messagistica via cloud che usano i dispositivi Xiaomi.
Un particolare che ha infastidito più gli spettatori occidentali che gli utenti cinesi, abituati all'ingerenza paternalistica – chiamiamola così – del loro governo (mentre noi sobbalziamo quando apprendiamo di NSA).
La Cina è vicina ma è anche lontana.
Chi dovrà preoccuparsi dell'eventuale breccia di Xiaomi fuori dall'Asia?
Apple? Molto meno degli altri. Se vorrà potrà persegui(ta)re Xiaomi per vie legali giusto per far capire chi comanda. Ma chi vuole e può permettersi un dispositivo Apple, anche in Cina, compra direttamente Apple, non un suo surrogato.
Tutti gli altri, quelli che odiano Apple, quelli che amano Android, quelli che non vogliono spendere uno sproposito, difficilmente non potranno prendere in considerazione Xiaomi, difficilmente potranno ignorarne lo sbrilluccichio dei prezzi in rapporto alla qualità.
È un segmento (dispositivi di buona qualità a prezzi meno da gioielleria) in cui Apple ha già fallito e che infondo non le interessa poi tanto se il massimo sforzo che ha saputo produrre è l'iPhone 5c (con la c minuscola che è già una presentazione) a 100€ in meno rispetto ai 700€ e passa del 5S (affarone, quasi quanto il 4S che ancora vende).
Chi deve temere una Xiaomi sui mercati occidentali è molto più Samsung. Ma anche Google con le sue varie incarnazioni hardware (il Moto G di Motorola, il Nexus di LG). Anche perchè come effetto (o danno) collaterale di Xiaomi è possibile che all'utente, dopo aver provato l'Apple dei poveri, venga voglia di possedere l'originale, non un altro Android. Una specie di cavallo di Troia (o di Pechino).
In ogni caso, ben venga la sfida di Xiaomi.