Abbiamo in casa, in auto e addosso una pletora di dispositivi che necessitano di ricariche quotidiane e relativa gadgetteria tra cavi e caricatori.
Quali sono le differenze tra i vari standard (protocolli, connettori, porte)? È possibile armonizzare la propria dotazione in modo da avere quanta meno spazzatura possibile e sfruttare al meglio gli standard dove questi sono supportati?
Protocolli, porte e connettori
La situazione attuale vede il mercato ripartito grosso modo così, con ampie zone di convergenza tra smartphone e computer:
- MacBook e iPhone di Apple con un misto di USB-C e Lightning
- Android con USB-C ormai quasi ovunque, ma con ancora molta micro-USB legacy
- Chromebook e notebook, tablet o 2in1 Windows anch'essi con USB-C
- Dispositivi dei più vari (speaker, fotocamere, smartphone entry level) con ancora micro-USB
Su queste porte – con l'ovvia eccezione della Lightning di Apple – possono viaggiare vari tipi di protocolli: USB 2, che ha quasi 20 anni ed è dura a morire (vantaggio prestazioni/costi), USB 3.0 e USB 3.1 e, esclusivamente su Type-C, Thunderbolt 3, una sorta di 3.1 pompato.
Tutti gli USB (Universal Serial Bus) sono atti al trasferimento di dati e alla ricarica, e tutti sono retrocompatibili.
Lightning di Apple svolge gli stessi compiti di ricarica e sync di USB, ma con un connettore proprietario. La sua ragion d'essere resta indiscutibilmente più commerciale che tecnologica: all'altro capo di un cavo Lightning c'è sempre un connettore USB, di tipo A o di tipo C, e come porta è presente solamente su iPhone e iPad e relativi accessori (AirPods, cuffie Beats). Apple Pencil la ha come connettore-supposta. Il pregio di Lightning è nel suo stesso limite: una cosa Apple proprietaria che non può creare confusione. Mai ci sogneremmo di infilare un cavo Lightning per ricaricare un eventuale tostapane portatile. Fool proof, o it just works.
Lo scenario USB è molto più variegato.
Connettori e porte di tipo A hanno (ma non sempre, non essendo obbligatorio) la linguetta interna di colore diverso per indicare a quale standard appartengono: nera o bianca per USB 2, blu per USB 3.X (attualmente siamo a 3.2, ma in the wild è inesistente). Esistono altri codici non standard che si sono inventati certi produttori per indicare funzionalità di ricarica di loro proprietà, come arancione o verde per il QuickCharge di Qualcomm e viola per il SuperCharge di Huawei. Il tutto approssimando, perché in realtà ci sarebbe una distinzione tra blue e teal blue, e varie altre menate (Wikipedia, se volete).
I connettori Type-C sono ancora più complicati, mancando del tutto un sistema di codici, anche grossolano come quello di A.
Un casino? Sì. C'è un enorme problema di design e comunicazione con USB, ed è incredibile che nessuno, in tanti anni (USB 3.0, da dove si sono complicate le cose, è del 2013) ci abbia messo mano.
Diventa veramente difficile rimproverare Apple per il vezzo di Lightning.
USB per i dati
Andiamo dai 480 Mbit/s di USB 2 ai 5 Gbit/s di USB 3, dai 10 Gbit/s di USB 3.1 ai 40 Gbit/s di Thunderbolt che trasmette in scioltezza anche flussi video 4K (ma scende progressivamente con cavi oltre il mezzo metro!).
Pretty simple.
Thunderbolt merita un approfondimento.
Thunderbolt™ 3 – The USB-C That Does It All!
È l'unica porta sui MacBook e MacBook Pro di Apple.
Infatti, supporta un data trasfer mostruoso e ricarica con USB PD (Power Delivery). Pur essendo un'interfaccia proprietaria di Intel sviluppata indipendentemente, dalla sua versione 3 (l'attuale) ha adottato come connettore il Type-C e nei fatti è sovrapponibile in tutto e per tutto a USB 3.1. Tutti i cavi TB supportano USB 3.1, e qualunque dispositivo con USB-C collegato a una porta TB funziona normalmente. Ovviamente non il contrario: un dispositivo che richiede specificamente TB (ad esempio un monitor) non può accontentarsi di USB 3.1, non funzionerà attaccato a quel tipo di porta e richiederà un apposito cavo TB con connettori Type-C in e out. Thunderbolt infatti ha solo Type-C→Type-C come cavi, mentre USB 3.1 può avere anche Type-A→Type-C. Tuttavia, pur nei limiti specifici del suo protocollo (meno banda), un buon cavo USB 3.1 funzionerà con TB e in alcuni casi basterà pure. È il caso di tanti usi pratici quotidiani con un MacBook che ha unicamente Thunderbolt.
Thunderbolt è insomma un USB 3.1 on steroids con una banda ancora più ampia per interfacciarsi ad hardware in ambito grafico particolarmente impegnativo (schede esterne, monitor dual 4k) e a soluzioni di storage e backup che devono digerire enormi quantità di dati. Il tutto, anche a cascata.
Fantastica Thunderbolt tuttofare, ma è carissima da implementare per i produttori e carissima da gestire per un utente fuori da un ambito più prettamente pro. Un cavo viene intorno ai 40€.
USB per la ricarica
Qui una distinzione chiara come sopra tra i vari protocolli non c'è, non cambia la velocità di ricarica ma la capacità.
La vera differenza la fa USB 3.1 Power Delivery (anche nella sua incarnazione Thunderbolt) che con Type-C eroga fino a 130W contro i 2.5-7.5 delle USB precedenti (per una panoramica completa, schemino su Wikipedia) e può quindi alimentare dispositivi più impegnativi come i MacBook di Apple, per i quali servirà un cavo adeguato USB 3.1-compliant (altri cavi caricheranno, ma non a piena portata).
Per tutti quasi tutti gli altri a scendere va bene una qualunque USB 2, sia essa in forma di USB-C o di micro-USB. Non c'è sostanziale differenza tra USB 2 e superiori, l'unica discriminante è che si usino cavi di qualità. Sono importanti i materiali interni per questioni di conducibilità e resistenza al calore, sono importanti quelli esterni per una questione di durabilità (hey Apple 👋). È importantissimo che rispettino le specifiche richieste: bancarella no, quindi, ma anche Amazon è piuttosto problematico data la quantità di dubbia cineseria che vende (esiste per altro made in China di ottima qualità ma va saputo individuare).
La reale differenza sulla velocità di un cavo la fa il gauge (= calibro, la capacità di conduzione della corrente) e la lunghezza: spesso e corto è meglio, più è lungo più è lento. Un cavo che rispetti le specifiche dichiarate ha un gauge adeguato. Quei cavi USB sottili che abbiamo per casa nascono per altri usi, ad esempio collegare una tavoletta grafica al computer (pochissima richiesta energetica e bassa trasmissione di dati).
Un buon cavo serve insomma solo ad ottimizzare il flusso di corrente rispetto a un determinato standard che può essere quello del protocollo di riferimento o di una tecnologia proprietaria (con caricatori e chip specifici) che ad esso si appoggia. La velocità la fanno questi. A parte QuickCharge di Qualcomm, generalmente ogni brand lega i propri prodotti a un suo standard.
Vediamoli, c'è qualcosa di interessante da scoprire.
Tecnologie fast charging
Apple stranamente non ha battezzato la sua ricarica veloce (ma è in arrivo AirPower), perché in effetti più che un protocollo vero e proprio è la sua solita implementazione alla Cupertino di uno standard pre-esistente (un po' come il BT "proprietarizzato" delle AirPods). Sfrutta infatti USB-C 3.1 Power Delivery ma abbinato all'altro capo con un connettore Lightning. Un iPhone out of the box non è attrezzato a sfruttarla, occorre un caricatore come quello del MacBook + cavo USB-C→Lightning (occorrono cioè un'ottantina di euro extra). Supportata da iPhone 8/X in poi.
Qualcomm ha QuickCharge, richiede ovviamente un suo chip e riguarda altrettanto ovviamente i dispositivi Android con processore della casa, ma non solo: in futuro anche Windows su ARM, che fin'ora è stato testato proprio sugli Snapdragon di Qualcomm.
Nel variegato mondo Android non ci sono però solo chip Qualcomm. Samsung ha il suo Exynos, Huawei (e la sua controfigura Honor) ha Kirin, e MediaTek in fascia bassa pure ha i suoi. Fast charging proprietario, dunque: Adaptive Fast Charging (sempre altisonante Samsung), Supercharge (Huawei), Pump Express (praticamente una prestazione sessuale per MediaTek).
Ma ci sono anche onanisti con CPU Qualcomm che non scelgono QuickCharge e si fanno il loro: OnePlus con Dash Charge.
Non onanista perché appoggiata a uno standard, ma sicuramente originale è stata Google che ha attrezzato i suoi Pixel con USB Power Delivery, che richiede obbligatoriamente C→C, come i MacBook (ma il Pixel si ricaricherà, più lentamente, anche con il più comune USB-A→USB-C: meno male, uno spinotto auto con ingresso Type-C costa l'iradiddio). In confronto agli altri però non figura benissimo, una buona mezz'ora in più rispetto alla media (circa 1h e 15') dei dispositivi suoi concorrenti. Sad trombone.
Il più prestante, ma – vedremo – non il migliore, è l'onanista sopracitato: Dash Charge di OnePlus (e della sua gemella, o meglio madre, Oppo). Ma parliamo di 10 minuti in meno sulla media. Tuttavia, Dash Charge di OnePlus ha un grosso punto a sfavore: richiede un cavo proprietario, 20€ (wannabe Apple). Terminazioni standard Type-C e USB-A, ma componentistica diversa, perché Dash Charge invece di aumentare il voltaggio come gli altri (cosa che avviene lato caricatore), aumenta l'amperaggio in modo da inviare più watt alla batteria. Gli altri, generalmente, necessitano sì di un alimentatore adeguato, compatibile ma non proprietario ad esempio con QuickCharge (la più "democratica", implementata pure sui power bank), ma come cavo ne basta uno generico che sia semplicemente di buona qualità.
Se l'obiettivo comune è convergere verso uno standard e un brand invece pone ostacoli o devia, allora male. OnePlus non è l'unica, Apple è un caso molto più rilevante. Ma persino Apple ha una licenza MFi che consente a terzi di sviluppare cavi e accessori con tecnologia Lightning, e quindi dare se non altro più manovra e scelta all'utente (al costo di un prezzo maggiorato di circa 1/3 rispetto a un cavo Type-C che su Android fa le stesse cose: oh Apple 💸). Dal punto di vista dell'impatto ambientale è invece sullo stesso livello di OnePlus: obbliga al cavetto apposito.
Nel futuro però è probabile che Type-C, come (idea di) standard universale e agnostico per la ricarica, muoia prima di realizzarsi, seppellito dal wireless.
La convergenza, zoppicante, verso uno standard
Tutti questi diversi (ma simili) protocolli utilizzano – tranne l'augusta Apple – connettori e porte USB (A, Type-C, micro), e tutto quello che ruota attorno a USB è promiscuo. Ovvero, in linea di massima, interscambiabile.
È una promiscuità che vista da un'altra angolazione si può chiamare tendenza alla standardizzazione. Buona cosa. Non dimentichiamo il problema che risolvono: i mattoni attaccati ai cavi di ricarica con i connettori nelle forme più assurde. Ma soprattutto impatta, riducendola, sulla piaga dell'Electronic Waste, la spazzatura elettronica che invade le borse, le scrivanie, gli uffici e in definitiva il pianeta a cominciare da Africa e Asia (per approfondire: Where does e-waste end up?). Non si tratta solo di comodità nelle nostre agiate vite quotidiane (la parte first world problem della questione), ma di riduzione dell'impatto ambientale (la parte third world).
Questo passaggio verso uno standard non sta però procedendo proprio benissimo. C'è una resistenza dovuta soprattutto a due motivi: le royalties che prende Intel per Thunderbolt, in via di scadenza – forse – quest'anno, ma anche la confusione, come visto sopra, di 1 formato/vari protocolli. USB-C può essere Thunderbolt ma può essere pure USB 2. È una grave mancanza dell'USB Implementers Forum (il consorzio che governa USB, che ha questo bel sito moderno) che non abbia imposto una qualche forma di labelling. Ad oggi senza andare a guardare le specifiche di un prodotto, quello che ci dice più immediamente cosa sia e faccia un cavo USB-C è il prezzo. Basso, è un cavo USB 2 (ricarica di dispositivi di taglia smartphone e trasferimento non iper-veloce di dati). Medio, è USB 3.0/3.1 (power delivery e data transfer ad alta velocità). Alto è Thunderbolt, che sostuituirebbe perfettamente tutti gli altri, ma che è carissima da adottare e fuori da ambiti professionali del tutto sovradimensionata.
E così il mercato consumer – quello più grosso – resta dominato dalle vecchie interfacce USB di tipo A e micro con a bordo USB 2. Interfaccia che non ha bisogno di Type-C e che resta sufficiente in tantissimi scenari d'uso comune: ricarica di smartphone e gadget vari, ricarica di e da powerbank e, nei rari casi, sincronizzazione o scambio dati con un computer di un telefono Android. Più economica di Type-C, non altrettanto versatile ma ancora pienamente efficiente, micro-USB è anche leggermente più piccola. Su auricolari BT, fa la differenza. In fascia alta e in fascia bassa continuano ad uscire prodotti nuovi con questa porta vecchia, il modesto speaker BT da battaglia e le costose cuffie con ANC per il frequent flyer (o lo youtuber). Sì, Bose chiede 300€ per una cuffia ma si risparmia gli spiccioli di metterci Type-C al posto della vetusta micro-USB, pur non avendoci problemi di spazio. Così in viaggio il frequent flyer dovrà portarsi un cavo in più. Smart. E pensare che USB-C può trasmettere l'audio, quindi poteva sostituire pure il cavo con jack (ormai in decadenza) che è incluso di riserva.
Type-C insomma allo stato dei fatti non è affatto indispensabile, resta indispensabile USB-A, come può misurare dai suoi dongle un possessore di MacBook. Credevamo che Apple costringesse il mercato a livellarsi sulle sue scelte? Non è andata così. Dove un prodotto, soprattutto economico, può arrangiarsi con USB 2 e micro-USB/USB-A, lo farà.
Quello che rimane del mercato è una piccola (relativamente) fetta dove se serve banda (storage/back-up, per esempio, o data transfer in ambito foto-video), è USB 3.1, se serve molta banda (video) è Thunderbolt. Ovviamente due piccioni con una fava in quanto entrambi supportano Power Delivery quindi sono adatti ad alimentare o ricaricare dispositivi più esosi in termini di richieste energetiche come un MacBook (sono pochissimi e non particolarmente di successo gli smartphone con USB 3.1). E USB 3.0? Doppiata in velocità da 3.1, resta comunque meno cara e ancora sufficiente dove serve banda ma si resta in ambito consumer: SSD esterni non proprio all'ultimo grido, mediastation varie d'uso domestico.
Lo standard insomma progredisce, ma non rimpiazza mai i precedenti e frammenta il mercato.
Il groviglio quotidiano di cavi e alimentatori
Se in quest'orgia di standard e formati più o meno intercompatibili lo scopo di Type-C e delle ultime evoluzioni di USB è quello di far interfacciare i dispositivi attraverso un'unica porta/connettore (ovvero, in parole povere, di avere accessori interscambiabili), la realtà dei fatti è molto meno rosea.
Il futuro vorrebbe apparire luminoso (e alla fine sicuramente lo sarà!), ma per ora sembra più di camminare in una valle di tenebre.
Non è tanto questione di complessità, ma, come si è visto, di confusione.
Diciamo però che il lato veramente problematico è quello di USB come protocollo di ricarica, non certamente quello dello scambio di dati, dove al massimo o si possono avere prestazioni ridotte perché usiamo un cavo USB 2 su device (ad esempio un SSD) che è dotato invece di 3.1, o avere malfunzionamenti o mancanza proprio di collegamento per incompatibilità (attacco ingenuamente un cavo USB 2.0 a un monitor Thunderbolt). Ma mai danni.
Quando invece sono coinvolte corrente e batterie la situazione è più delicata ed è qui che occorre fare attenzione.
Scenario tipico: MacBook che si ricarica via USB-C→USB-C e relativo caricatore a muro, smartphone Android USB-A→USB-C e relativo caricatore a muro, iPhone/iPad con USB-A→Lightining e relativo caricatore a muro, aggeggi Bluetooth vari generalmente con USB-A→micro-USB che se sono piccoli arrivano senza caricatore a muro (quindi vanno bene tutti), se sono grossi hanno un loro alimentatore proprietario (e quindi niente pippe).
Problema: posso ricaricare l'iPhone collegando il cavo Lightning al caricatore del telefono Android? Posso caricare il telefono Android usando cavo e caricatore del MacBook? Posso caricare lo speaker BT collegando il cavo micro-USB al caricatore dell'Android o a quello dell'iPhone? E se ho un caricatore OnePlus che usa Dash Charge posso usarlo per ricaricarci un Android con QuickCharge?
Viene un po' voglia di chiudersi in clausura nell'ecosistema Apple buttando pure il Sonos e passando ad HomePod?
Prima di castigarci proviamo a capirci qualcosa.
In generale, grazie alla retrocompatibilità di USB, è possibile mischiare i suoi vari protocolli, varrà tra di loro il minimo comune denominatore. Se quindi colleghiamo a una porta USB 3.1 o Thunderbolt un dispositivo USB 2 la velocità di trasferimento dati sarà quella di USB 2. Allo stesso modo, se connettiamo a un caricatore QuickCharge un dispositivo che non lo supporta, QC retrocederà a velocità normali, e la cosa vale in linea di massima per tutti i tipi di fast charging. Quindi, per rispondere alla domanda paradigmatica di sopra se connettiamo un OnePlus con DashCharge a un alimentatore QuickCharge, addio fast charging, ma la ricarica avverrà. È però una pratica che nessun produttore si prenderà la responsabilità di dichiarare safe. Quanto ci sia di commercio in questo cercheremo di capirlo qui di seguito.
Certamente, se avessimo la pazienza di tenere accoppiato ogni dispositivo al suo caricatore+cavo, come vorrebbero i produttori, non avremmo problemi. Oltre a essere una cosa del tutto anti-moderna (e ad alto impatto ecologico), nella realtà dei fatti non è proprio praticabile salvo comportamenti maniacali. In mobilità soprattutto, se un caricatore può servire due dispositivi, tanto meglio.
Smontiamo dunque il problema nelle sue due componenti: cavi e alimentatori.
Cavi
È l'aspetto un po' meno problematico, basta evitare catene improbabili (tipo piazzare adattatori su adattatori su cavi sconosciuti) e usarne di buona qualità.
Generalmente, senza andarsi a impapippare di protocolli e specifiche, un buon produttore vende il suo cavo USB-C, oltre che mettendo nero su bianco le caratteristiche tecniche (per chi ha studiato e le capisce), dando anche un quadro semplificato di cosa fa e a quali dei principali dispositivi in commercio è adatto (alla fine, gli Android si assomigliano tutti), e tanto può bastarci come informazione.
Per la ricarica di un telefono (e di dispositivi di esigenze simili o inferiori) da un caricatore a muro basta un cavo Type-C con USB 2. In questo caso (caricatore→cavo→device) non c'è differenza nella velocità di ricarica tra USB 2 e USB 3.0 e superiori, la cui maggiore velocità – ripetiamolo –riguarda solo il trasferimento dei file. Su dispositivi più esosi, come un MacBook Pro, la ricarica a piena portata si ha con un cavo di standard superiore, in questo caso Thunderbolt, ma un cavo USB 2 funziona ugualmente, più lento. Il MacBook 12 non necessita invece di Thunderbolt per la ricarica, e un cavo USB 2 è già ottimale.
Può impattare sulla velocità di ricarica – come si è detto sopra – la lunghezza del cavo. Ovviamente niente di drastico, giusto per farsi un'idea di quanto si può avvitare in spirali di complicazione questo enorme pippone. Se può dare sollievo in momenti di particolare ansia, cavo corto e telefono spento significano ricarica più veloce.
Alimentatori
Qui è più complesso, ma la situazione di maggiore problematicità è in realtà piuttosto ben limitata e si verifica quando utilizziamo un alimentatore sottodimensionato rispetto alle richieste del dispositivo che andiamo a ricaricare. In questo caso, il caricatore si surriscalderà. Potrebbe fare danni, forse più a sé stesso che al dispositivo a cui verrà collegato, ma meglio evitare. Un caso potrebbe essere quello in cui si volesse ricaricare un notebook con l'alimentatore del telefono, pensando che tanto sono entrambi Type-C: 🚫
Un caso un po' limite.
In altre situazioni i rischi sono molto minori o del tutto inesistenti, ma vigendo un po' la legge del West è meglio non sperimentare. Però certamente un PixelBook si può masochisticamente ricaricare con l'alimentatore di un Pixel, sarà estremamente lento ma andrà. Stessa cosa per un iPad col caricatore di un iPhone, e qui lode a Apple perché sgombra il campo da ogni pippa/dubbio/angoscia: ogni caricatore Lightning è compatibile con ogni dispositivo Lightning.
Negli altri casi, sempre in via generale, se utilizziamo un alimentatore (caricatore, caricabatteria) con un output (corrente in uscita, ovvero l'amperaggio) maggiore rispetto a quello supportato dal dispositivo che andremo a caricare, ma – attenzione – con un voltaggio che non sia superiore (sotto i 5.0V), solitamente il dispositivo regolerà automaticamente la soglia di energia in ingresso. Caricare ad esempio una smartband col caricatore del telefono: 👍🏻
È quello che ci troviamo a dover fare ogni giorno.
Certo abbiamo parlato per approssimazione distinguendo grossolanamente tra un caricatore da tablet e uno da smartphone, per farci un'idea. Più nello specifico, cosa differenzia un caricatore da un altro sono i valori di amperaggio e voltaggio. Se solo avessimo dormito di meno nelle ore di Fisica a scuola.
A occhio ci si può regolare con questa precisa misurazione tecnica: il caricatore piccolo non va bene per quel dispositivo che ha un caricatore grande.
Altre fonti
L'argomento è prettamente tecnico, richiede un bel po' di ricerca e studio da interrogazione in scienze, non innesca polemiche, non stuzzica curiosità e quindi non è trattato granché bene da nessuna fonte generalista.
Ci sono gli articoli di Wikipedia sui singoli elementi (voltaggio, amperaggio, tensione elettrica, potenziale elettrico), e molti articoli specifici ma non c'è nessuna spiegazione riassuntiva della questione ai fini della nostra banalità quotidiana di utenti o schiavi della tecnologia.
Questo è un tentativo di supplire. Non è escluso che chi ne capisce davvero della materia possa rilevare qualcosa in questo articolo di inesatto o sbagliato, nonostante scrupoli e sforzi. In questo caso, almeno un colpo di clacson su Twitter :)
Qualche link per approfondire:
Ridble: Caricabatterie per smartphone: conosciamo come funziona per imparare come leggere i dati stampati sugli alimentatori e capire per cosa vanno bene e per cosa no (quello che sopra abbiamo risolto con no caricatore piccolo per dispositivo grande).
Ridble ancora: Caricatore USB: ecco i migliori sul mercato per qualità/prezzo dove è spiegato con dovizia di dettagli tecnici (sai mai che alla fine si riesca a comprenderli) cosa va preso in considerazione per capire se un prodotto è adatto al dispositivo con cui vogliamo usarlo.
Electronic Design: Introduction to USB Power Delivery per farsi un'idea più precisa di perché la reale differenza tra standard per la ricarica la fa solo USB 3.1 Power Delivery che alimenta i portatili e dispositivi con richieste energetiche simili, mentre per il resto va bene anche USB 2.0.
Dignited: USB 3.0, 3.1, 3.2, 4.0 and Thunderbolt specs and feature comparison dove è spiegato in che modo Thunderbolt riassume(rebbe) in sé tutti i gli usi possibili delle interfacce USB più avanzate (dalla 3.0 in poi).
Extreme Tech: How USB Charging Works, or How to Avoid Blowing Up Your Smartphone, che è poi quello che veramente ci interessa! E che, alla fine (ma solo alla fine) non è poi un rischio così alto se non si è proprio degli sprovveduti, o Samsung.