Aaaand BOOM. Tim Cook ha dichiarato ieri in una lettera agli investitori che Apple nel primo trimestre del 2019 non raggiungerà gli obiettivi fiscali previsti. La causa è il calo di vendite dell'iPhone, che è il motore finanziario di Apple.
Come leggere il dato?
Wall St. l'ha fatto con molta calma affondando il titolo (AAPL a quasi -8%) e sospendendolo per eccesso di ribasso, infischiandosene che questo primo quarto (Q1 per gli amici) sarà comunque per Apple il secondo più redditizio dei suoi 43 anni di storia, sotto comunque di 4 miliardi di dollari – è questo il dato impattante – rispetto all'anno precedente.
La lettura ufficiale di Cook è che si sconta il rallentamento economico della Cina (il più importante mercato mondiale) seguito alle tensioni commerciali innescate da Trump specificamente con Pechino. Trump ovviamente non menzionato da Cook, ma ricordiamo sempre questa faccia:

In che modo esattamente questo abbia impattato gli iPhone non è subito chiaro, visto che il prezzo di vendita in Cina, nel periodo preso in considerazione, non è ancora automaticamente destinato a crescere. O almeno non se ne prevede ancora con esattezza come e quanto. Ma la domanda di iPhone, in Greater China (Cina mainland, quella sotto controllo diretto di Pechino, più i satelliti Taiwan, Hong Kong, Macao e volendo anche Singapore), è di fatto rallentata già prima (i dati erano chiari già a settembre, Asia Times), come diretta reazione all'impennata di prezzi studiata da Cupertino e non imputabile a trumpate varie. Va ricordato inoltre che la Cina (mainland), che fabbrica e spedisce gli iPhone nel mondo, paga gli iPhone sul suo mercato interno come prodotti stranieri per effetto di tasse imposte da Pechino e passibili di ulteriori inasprimenti se Trump dovesse continuare l'offensiva. Una conflittualità che deve far capire che non si tratta di due soggetti contrapposti, ma di due soggetti profondamente interdipendenti. Chimerica.
La Cina, del resto, assomiglia sempre più per potere d'acquisto all'Occidente. Per riferimento, i 6499¥ dell'Xr pari a 949$ sono 200$ più che in USA, come accade da noi. Dove va sempre un po' peggio, considerando che 6499¥ sono 830€ e il prezzo qui è 889€, ma in rapporto agli stipendi non siamo poi lontanissimi visto che in Cina più di metà della popolazione (l'altra metà è quella che non ha esattamente come priorità l'iPhone ma la ciotola di riso) non arriva a 10000¥ al mese e la media in Italia è di 1600€. In entrambi i bacini di riferimento, un iPhone costa all'incirca il 60-65% di uno stipendio.
Hong Kong, regione amministrativa speciale (con Macao) della Repubblica Popolare Cinese, gode di un regime fiscale separato ("un solo paese, due sistemi") e vede il prezzo degli iPhone scendere anche del 30%. Per capire il ruolo di Hong Kong nella penetrazione di iPhone in Cina va guardata una mappina:

È notizia dello scorso Marzo (Apple Insider) che la dogana di Shenzhen (per favore: Scen-gèn) ha intercettato un mercato nero di iPhone gestito tramite droni (I love China!) pari a 80 milioni di dollari. Non è un caso che Shenzhen, la Silicon Valley cinese, sia sorta (stata programmata) come dirimpettaia di HK. E questo cosa ci dice? Che l'iPhone in Cina piace ancora fortissimamente, ma il prezzo è diventato un problema pure per i paperoni cinesi.
Probabilmente a una lettura puramente numerica dei dati di vendita gioverebbe affiancarne un'altra un po' più culturale. Una delle prime sparate commerciali di Trump sulla scia retorica dell'America First è stata quella, arrogantissima, di spalare m.. (nella forma di confuse accuse di spionaggio), su ZTE e Huawei, di fatto chiudendogli in un primo momento il mercato USA, per riaprirlo subito dopo (mestruazioni cerebrali trumpiane) avendo comunque fortemente ammaccato soprattutto ZTE (con perdite di posti di lavoro in Cina). Chi vuole approfondire può partire da un pezzo su Fortune. Si tratta di due colossi delle cui dimensioni e del cui peso il pubblico in Occidente (e specificamente quello più ignorantello americano) non ha assolutamente cognizione. La sola Huawei è coinvolta nella metà dei progetti in Europa relativi alle reti mobili ed è leader assoluto a livello mondiale nello sviluppo di infrastrutture per il 5G (debutto atteso nel 2020). Altro che telefoni (bruttini). Al pubblico cinese, che usufruisce di una rete controllata dove la censura è in grado di forgiare un'opinione pubblica come più aggrada al Partito, la cosa non poteva sfuggire e c'è stato il rigurgito patriottico contro il primo e più immediato totem USA in Cina: Apple. Del resto le alternative domestiche di livello ai cinesi non mancano: Oppo e Vivo (leggasi OnePlus), Xiaomi, ZTE, Huawei... L'iPhone esiste e resiste come status symbol, ma lo status symbol non fa volume, anche se uno spicchietto di mercato in Cina vuol dire comunque un bacino enorme. Per capirne l'importanza si pensi che Apple ha fatto per quel mercato (compreso Hong Kong) un'apposita versione degli ultimi iPhone dotata di slot per due SIM fisiche, perché ai cinesi così piace (e così serve, si pensi a chi transita tutti i giorni tra Hong Kong e Shenzhen), mentre altrove la seconda è solo virtuale (eSIM, non supportata da tutti gli operatori).
Nella lettera di ieri Cook ammette che il crash è dovuto a ragioni macro-economiche (turbolenze cinesi, dollaro forte, un cretino alla Casa Bianca) ma anche a ragioni Apple-specific. Ma mentre sulle prime si dilunga in analisi e spiegazioni pienamente condivisibili (e ancora troppo poco approfondite), sulle seconde nemmeno un accenno a quali questioni nello specifico facesse riferimento.
Riassumiamole da due punti di vista opposti: l'Apple fan die-hard e quello spaccaca**i.
Il fan più simile al devoto che all'entusiasta dice che il calo di vendite di iPhone si piega con la generosità di Apple di sostituire a poco prezzo le batterie di certi modelli di iPhone (un bel numero di quelli in circolazione). Scandalo, direbbe giustamente il fan più critico, emerso dopo che a fine 2017 Geekbench aveva rivelato che Apple azzoppava le performance dei suoi dispositivi con batteria esaurita all'insaputa degli utenti. Il fan critico ci andrebbe giù ancora più duro dicendo che allora Apple usava questa tecnica per dirottare utenti con iPhone ancora pienamente usabili (bastava cambiare la batteria) su nuovi dispositivi il cui prezzo, rispetto ai modelli precedenti, vedeva un'impennata assurda che li portava OLTRE la soglia dei mille euro.
Qualunque prospettiva si preferisca, questa questione dell'aumento dei prezzi non può essere aggirata.
Il fan devoto direbbe ancora, e il fan critico può convenirne, che si vendono meno iPhone anche perché i processori dall'iPhone X in avanti sono talmente potenti che un degrado delle performance non è più percettibile nei tempi, più stretti, di prima. E che le tecnologie incorporate oggi in qualunque iPhone da X in poi sono talmente avanti che nessuno, sul versante Android (attualmente in piena confusione tra slitte e buchi nel display), riesce a sfornare un dispositivo nuovo di pacca che non dia l'idea di essere indietro rispetto a un iPhone anche dell'anno scorso. Tutto vero.
Se si guarda a questi dati allontanandosi un po' dall'immediato, emerge che i margini di profitto dell'era Cook sono ancora a livelli stratosferici (diciamo pure schifosamente alti) anche dopo questa frenata. Ma è anche vero che questa è la prima sbandata della conduzione Cook e che non accadeva dal 2002 che Apple mancasse un obiettivo. Se segua un urto o meno oggi non si può dire. E l'incertezza pesa.
Se è vero come è vero che il mondo si avvia a una nuova fase di recessione, allora il problema di avere prodotti Apple tutti (tutti) a costi di gioielleria significherà che la leadership di Cook non è più adatta ai tempi.