Farhad Manjoo sul NYT. Sulla prima frase si può pure concordare:
It’s not Apple’s fault that you feel enslaved by your phone.
E quindi non si capisce perché debba porci rimedio Apple al problema dell'assuefazione agli smartphone. Della schiavitù addirittura, dice. Forse in ottica Master/slave ci sta, il piacere perverso e un po' triste dello smartphone.
Se non fosse caduto in disgrazia si potrebbe citare Louis CK. Citiamolo lo stesso: everything is awesome but nobody is happy.
C'è un problema e lo vediamo tutti, perché ci siamo dentro tutti. Ma che dovrebbe fare Apple? Non solo non le compete, ma non può farci davvero nulla. È responsabilità esclusiva dell'utente, Manjoo cerca solo di assolverlo imputando a un altro soggetto (Apple) le coseguenze nefaste del suo uso infantile del telefono.
Questa costante, inarrestabile infantilizzazione dell'adulto.
E i piagnucolii e i capricci tirando la gonnella a Apple. Maaaamma!
Il compito (nonché l'interesse) di Apple è quello di migliorare costantentemente l'esperienza d'uso dei suoi dispositivi, dare all'utente quel senso di delight come amano dire gli anglofoni (noi avremmo un po' di imbarazzo a dire delizia) che alla fine gli fa preferire l'iPhone al Pixel o al Galaxy.
Ovviamente il problema del risucchio dell'attenzione nello schermino di un telefono riguarda qualunque telefono, basta guardarsi in giro. Manjoo non troppo a torto sceglie di rivolgere l'appello a Apple (pardon) e non a Samsung o Google. Non è solo questione di fette di mercato occupate: Apple detiene l'11% del mercato contro il 22% di Samsung, ma la coreana lo occupa con una gamma molto più variegata di telefoni di cui una buona parte non si può definire particolarmente sexy, smartphone più utilitari che difficilmente vengono tenuti in mano più del necessario da chi li possiede. Non velocissimi, display non definitissimi. Sono smartphone no perditempo. Mentre quelli di Apple sono tutti top notch e invogliano non solo all'uso ma anche allo sfoggio. Quindi, psicologicamente, Apple penetra molto più dentro di Samsung.
È insomma chiaro perché Manjoo si rivolga a Apple.
Certamente da Apple ci si può anche aspettare un'attenzione al problema maggiore che da Samsung o Google, da cui al massimo si può sperare di essere ignorati e non derisi.
Apple è diversa. Apple ha sempre messo al centro l'utente e le sue esperienze d'uso, più che il prodotto in sé. Gioco di sponda, funziona. Le foto promozionali con famiglie felici che si fanno selfie in bei posti o a casa davanti al caminetto a Natale, amici affiatatissimi e di tutte le razze che si divertono in maniera sana, facendo surf in videochiamata Face Time con la nonna. Un iPhone sempre presente, baricentro della nostra vita sociale e affettiva. Che ti fa trovare pure il fidanzato.
E come facevi senza le AirPods?
Insomma, il messaggio di fondo è sempre "connecting people". Mai "il processore nostro si fuma quello di Samsung".
Il problema che invece di connettere lo smartphone porta ad isolarsi (una forma di connessione inversa, introversa) esula dalle responsabilità di chi lo progetta. È uno strumento formidabile e guai a castrarlo.
Si sbaglia davvero bersaglio se ce la si prende con Apple (o chicchessia), perché il responsabile, l'architetto reale che progetta il trip intenzionalmente, è altrove: è in Facebook, soprattutto, è in Instagram (sempre Facebook!), è in Twitter, in Slack. La maggior parte delle notifiche che risucchiano l'utente nel rabbit hole (cos'è?) per lui appositamente apparecchiato fanno capo a questi soggetti. Sono loro, e non Apple – e questo Manjoo lo scrive – a basare il proprio modello di profitto sulla tech addiction.
Questo mare di noise che ci fa perdere il segnale. E se però questo rumore fosse un rumore bianco che serve a tenerci distratti in un ambiente in cui i segnali veri sono spiacevoli o anche solo fastidiosi? Ci aiutano a ignorarli, e non sempre è male.
È colpa dello smartphone che veicola questo rumore? Che dovrebbe fare Apple? Disabilitare le notifiche? Ma perché prendersela con le notifiche, poi? Lo scopo e l'utilità non doveva essere quello di tenerci aggiornati su una cosa dando un semplice sguardo al telefono? Senza intripparsi in un'app, in una timeline. L'utente può già disabilitarle selettivamente o globalmente, ma non lo fa.
Basta deresponsabilizzarsi. L'utente ha già una pluralità di scelte. Può addirittura non comprarlo, l'iPhone o un altro telefono. Chiedere ad Apple di introdurne un'altra vuol dire cercare una scusa per imbambolarsi ancora nella non-scelta e continuare a ciondolarsi nel rassicurante intorpidimento da smartphone.
Il telefono che può fare? Spegnersi? Ah ma quella malandrina di Apple per evitare sta cosa ha rallentato i telefoni. Stupisce che Manjoo non abbia scritto anche questo.
Non è un problema software.
Tra l'altro quando si tratta di poter intervenire via software, ma sempre arbitrariamente, laddove c'è un abuso sull'utente e questi non abbia mezzi immediati per sottrarsene, Apple interviene eccome. Su Safari in iOS e macOS senza chiedere permesso a nessuno ha bloccato gli script di tracciamento usati per profilare gli utenti e iniettare ads mirati. Intelligent Tracking Prevention. Hell yeah. Ha rovinato il business a un sacco di gente. Ha fatto chiudere proprio bottega ai furbastri dell'advertising.
È invece un problema culturale. E la tecnologia è senz'altro cultura. Diciamo quindi che è sì un problema tecnologico in quanto risposta culturale, ma non un problema di come è disegnato un iPhone o uno smartphone. Un telefono è what you make of it. Pretendere che Apple lo renda meno addictive è scaricarsi di dosso le proprie responsabilità e dare la colpa a un altro. Non solo è un'impostazione del problema ridicola, ma è proprio pericolosa perché strabica.
Se i bambini, anche di un anno e meno, sono risucchiati da un telefono non si dia la colpa al telefono: si dia la colpa a chi la ha, i genitori. Che il telefono glielo danno in mano sull'inquietante YouTube per tenerlo buono 5 minuti, che poi diventano un quarto d'ora, magari per la doccia (bene), ma poi pure mezz'ora, per chattare su Wazzup dal tablet (male). Queste povere creature se non se lo ritrovano già in mano il "maledetto" telefono lo vedono comunque in mano ai genitori. E non c'è altro, almeno per i primi anni di vita, a dare l'imprinting a un bambino se non quello che vedono e che ricevono dai genitori.
Diamo pure la colpa al telefono.
Ci si prenda le proprie responsabilità, invece.
Ci si renda conto che esiste un junk food della mente ed è nel telefono, ma non è il telefono.
Ci si convinca che la mente la nutre anche altro, e con maggiori soddisfazioni benché con costi d'impegno intellettuale un pochino maggiori: un libro, un film. Quella lista infinita di articoli affatto frivoli, affatto stupidi, lasciati in Instapaper.
L'iPhone è figlio anch'esso di questa vecchia idea di Steve Jobs:
A bicycle for the mind.
Una bicicletta va saputa portare, e pedalare richiede uno sforzo. Ma poi quanto divertimento! Quanta utilità, e quanta salute.
Il problema è che oggi alla pericolosissima bicicletta Facebook ha messo prima le rotelle, poi il motorino elettrico, poi le ha tolto proprio le ruote, ed ora è una ruotina per criceti.